L’interesse verso un’adozione concreta e diffusa dell’intelligenza artificiale (AI) nei processi aziendali è in costante crescita. Tuttavia, nonostante gli investimenti, molte organizzazioni continuano a registrare risultati al di sotto delle aspettative.
L’articolo di Antonio D’Agata, Director Strategic Accounts & Partner di Axiante, che condividiamo di seguito, analizza i sette passi falsi più comuni che ostacolano la capacità delle imprese di generare reale valore dai progetti di AI.
Buona lettura!
Perché le aziende (spesso) faticano a trarre un vantaggio dall’AI?
L’implementazione dell’intelligenza artificiale sta emergendo come uno dei cambiamenti più rilevanti e impattanti anche per il mondo aziendale. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo – a volte tuttora eccessivo – e gli investimenti crescenti, molte organizzazioni si trovano a fronteggiare risultati limitati e insoddisfacenti, quando non addirittura controproducenti. E ciò per una comprensione parziale o distorta di ciò che l’AI è, cosa può realmente fare, e come dovrebbe essere integrata nei processi aziendali.
Comprendere i fattori che possono compromettere – o persino far arenare – l’implementazione di progetti di AI è fondamentale per poter ricavarne un reale valore. Ma quali sono i passi falsi più comuni?
- Approccio “plug-and-play”
Uno degli abbagli più comuni dell’implementazione di progetti di AI è considerare l’intelligenza artificiale come una tecnologia che può essere semplicemente “installata” per produrre risultati immediati, senza una pianificazione profonda. L’intelligenza artificiale non è un add-on, ma uno strumento che va integrato all’interno di una strategia di business più ampia. Richiede un’analisi accurata, una chiara definizione degli obiettivi e una visione integrata tra tecnologia, processi e persone.
- Mancanza di obiettivi di business chiari e misurabili
Da qui deriva il secondo errore, quello di avviare progetti di AI senza definire in modo preciso quali risultati si vogliono ottenere e come verranno misurati. Spesso si parte per “sperimentare l’AI” in modo generico, senza metriche di successo o indicatori chiave di performance. Ogni iniziativa AI dovrebbe partire da una prima e fondamentale domanda: quale processo e KPI misurabile ci aspettiamo di migliorare?
- Pochi dati, di bassa qualità o mal gestiti
L’AI è tanto potente quanto lo sono i dati che la alimentano. Un errore molto diffuso è sottovalutare la qualità, la struttura e la governance dei dati a disposizione. Molti progetti di AI falliscono perché i dati sono incompleti, disorganizzati, non aggiornati, o distribuiti in silos non comunicanti. Inoltre, l’assenza di una cultura del dato condivisa porta a scelte affrettate, come l’uso di dataset sbilanciati o non rappresentativi, con il rischio di ottenere modelli distorti, discriminatori o inefficaci. La condizione fondamentale è partire da una strategia di data governance solida.
- Sovrastimare le capacità dell’AI
Le aziende spesso attribuiscono tuttora all’AI capacità quasi miracolose, sopravvalutandone perciò il potenziale. Queste aspettative irrealistiche, portano a considerare l’AI come una soluzione universale, capace di risolvere “automaticamente” qualsiasi problema (anche non ben identificato), quindi, da un lato sottovalutando requisiti come un’adeguata comprensione del contesto, dei dati o limiti tecnologici. Il risultato è un disallineamento tra obiettivi strategici e risultati ottenibili, che può tradursi in investimenti poco mirati, progetti di AI fallimentari e una perdita di fiducia nello strumento stesso. Dall’altro pensando che possa sostituire completamente gli esseri umani, quando i risultati migliori si ottengono attraverso modelli ibridi, in cui l’intelligenza artificiale li affianca, potenziandone le capacità ma non sostituendoli. Pertanto, perché l’intelligenza artificiale generi reale valore, è fondamentale affrontarla con realismo, consapevolezza, visione critica ed etica, oltre che integrandola nelle strategie e nei processi aziendali.
- Trattare l’AI come un progetto “una tantum”
Un errore particolarmente critico è quello di concepire l’implementazione dell’AI come un’iniziativa isolata, con un inizio e una fine definiti. Al contrario, l’intelligenza artificiale è per sua natura un sistema dinamico, che richiede manutenzione, ottimizzazione e adattamento continuo. Molte aziende si limitano a implementare un modello iniziale, senza prevedere un piano strutturato di monitoraggio delle performance, raccolta dei feedback, aggiornamento dei dataset e revisione periodica della soluzione. Questo porta a una rapida obsolescenza che diventa incapace di rispondere alle evoluzioni del mercato e delle aspettative dei clienti. Un’AI efficace è quella che viene gestita nel tempo, attraverso cicli iterativi di miglioramento basati su dati reali, con un team dedicato alla sua supervisione.
- Assenza di competenze interne adeguate
Molte organizzazioni intraprendono progetti di AI senza possedere internamente le competenze necessarie per valutarne l’impatto, guidarne lo sviluppo o supervisionarne il funzionamento. Questo porta a una dipendenza eccessiva da fornitori esterni, senza una reale capacità di controllo o comprensione. È invece fondamentale costruire una base interna di competenze, anche gradualmente.
- Sottovalutazione del change management
L’intelligenza artificiale non cambia solo i processi, ma anche il modo in cui le persone lavorano. Molti progetti di AI falliscono non per limiti tecnici, ma per resistenza culturale o per mancanza di formazione interna. Senza un adeguato piano di change management, le persone vedranno l’AI come una minaccia, anziché come un’opportunità. Un’adozione efficace dell’AI richiede quindi un coinvolgimento in fase progettuale delle persone nei progetti, formazione continua e accessibile e condivisione dei benefici dell’AI per ciascun ruolo.
di Antonio D’Agata, Director Strategic Accounts & Partner di Axiante