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    Sei qui:Home»Rubriche»Sicurezza»Il vulnerability management per prevenire i data breach

    Il vulnerability management per prevenire i data breach

    By Redazione LineaEDP03/10/20255 Mins Read
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    Samuele Zaniboni, Manager of Sales Engineering di ESET Italia, approfondisce il ruolo strategico del vulnerability management come elemento chiave per prevenire attacchi, limitare i costi e supportare un approccio prevention-first alla cybersecurity

    CTEM-MDR-ulnerability management
    Samuele Zaniboni, Manager of Sales Engineering di ESET Italia

    Nel 2024, il costo medio di un data breach ha raggiunto i 4,88 milioni di dollari, il valore più alto mai registrato. Questa cifra impressionante non solo mette in evidenza l’impatto economico per le aziende, ma sottolinea anche una verità scomoda: molte di queste violazioni avrebbero potuto essere evitate grazie a un elemento semplice, ma spesso trascurato — un solido vulnerability management. 

    I criminali informatici sfruttano più frequentemente falle di sicurezza note e documentate, molte delle quali hanno patch disponibili da settimane, mesi o addirittura anni. Alla fine del 2024, il database delle Common Vulnerabilities and Exposures (CVE) aveva raggiunto un record di 40.077 vulnerabilità. Eppure, molte organizzazioni continuano a faticare nell’identificazione, nella prioritizzazione e nella correzione tempestiva di queste falle. Questo divario tra conoscenza e azione è uno dei principali fattori che comporta costi enormi per le imprese. 

    Le occasioni mancate sulle vulnerabilità note 

    Sebbene i titoli dei giornali spesso si concentrino sulle tecniche di attacco più sofisticate, la realtà è molto più banale: la maggior parte dei data breach nasce dalla mancata applicazione di patch già disponibili. Gli attaccanti eseguono regolarmente scansioni alla ricerca di sistemi aziendali non aggiornati, sfruttando vulnerabilità aperte come porta d’ingresso. Una volta ottenuto l’accesso, possono muoversi lateralmente, sottrarre dati, installare ransomware o rimanere nascosti per mesi. 

    In molti incidenti, le analisi successive hanno rivelato che il punto di ingresso iniziale era una CVE pubblicamente nota e con una patch già rilasciata. È quanto accaduto, ad esempio, nel caso Equifax del 2017, che costò all’azienda circa 650 milioni di dollari per la perdita di dati di milioni di persone. Un campanello d’allarme evidente: non è necessario prevedere ogni possibile minaccia futura, ma affrontare quelle già conosciute. 

    La crescita delle attività di scanning 

    Ci sono segnali incoraggianti che le aziende stiano iniziando a prendere più sul serio il problema. Nel 2024, il 24% delle organizzazioni ha eseguito più di quattro vulnerability assessment all’anno, contro il 15% del 2023. Lo scanning continuo, un tempo prerogativa solo dei programmi di sicurezza più maturi, sta diventando progressivamente uno standard. 

    Tuttavia, più scansioni non equivalgono automaticamente a risultati migliori. Un errore comune è la mancanza di prioritizzazione. I team di sicurezza si trovano spesso di fronte a report che elencano centinaia o migliaia di vulnerabilità, senza indicazioni chiare su quali rappresentino il rischio maggiore. Senza una comprensione precisa di quali asset siano critici, quali falle siano sfruttate attivamente e quali sistemi siano più esposti, le attività di remediation rischiano di bloccarsi nell’incertezza. 

    Perché serve la prioritizzazione basata sul rischio 

    Per spezzare questo circolo vizioso, le aziende devono adottare un modello di vulnerability management basato sul rischio. Invece di trattare tutte le falle allo stesso modo, è necessario considerare diversi fattori contestuali: 

    • Sfruttabilità: esistono codici di exploit disponibili? 
    • Criticità dell’asset: il sistema vulnerabile è parte di un servizio mission-critical? 
    • Esposizione: il sistema è accessibile pubblicamente o protetto da più livelli di difesa? 
    • Threat intelligence: questa CVE è attivamente sfruttata nelle campagne degli attaccanti? 

    Combinando i dati sulle vulnerabilità con il contesto aziendale e la threat intelligence, i team di sicurezza possono concentrarsi su quel 5-10% di falle che rappresentano il rischio maggiore, evitando di perdersi in un mare di allarmi. 

    L’importanza della remediation tempestiva 

    Anche con visibilità e prioritizzazione perfette, ciò che conta è l’azione. Per ridurre l’esposizione è necessario snellire i workflow di remediation, definire tempi di patching chiari in base al livello di rischio e favorire la collaborazione tra sicurezza e IT operations. 

    Affidarsi solo alla protezione endpoint non basta. Sebbene gli strumenti moderni offrano difese multilivello fondamentali, non affrontano alla radice il problema delle vulnerabilità — il software non aggiornato. È qui che entra in gioco un valido programma di vulnerability management. Strumenti come ESET Vulnerability & Patch Management, ad esempio, permettono patching automatico e on-demand, eliminando il rischio di dimenticare vulnerabilità note. 

    Applicazioni non aggiornate, sistemi operativi obsoleti e infrastrutture configurate in modo errato ampliano la superficie di attacco. Un efficace vulnerability management consente di individuare precocemente queste falle e di intervenire in tempi rapidi. L’automazione del patching e l’integrazione nei processi di sicurezza garantiscono una chiusura veloce e coerente dei punti deboli, prima che i criminali possano sfruttarli. 

    Una scelta strategica 

    Troppo spesso il vulnerability management viene trattato come un’attività di compliance o un adempimento minimo ai requisiti normativi. Ma con attaccanti sempre più rapidi e con un costo medio per data breach che si avvicina ai 5 milioni di dollari, è evidente che non si tratta solo di cyber hygiene, ma di una vera e propria strategia di sopravvivenza aziendale. 

    Le aziende più lungimiranti stanno integrando il vulnerability management nei propri framework di risk management, collegando lo scanning agli strumenti di asset management, sfruttando le threat intelligence platform per guidare le decisioni e utilizzando dashboard chiare e informative per fornire ai decisori una visione in tempo reale del livello di esposizione al rischio. 

    Il rischio nascosto in piena vista 

    La lezione è chiara: non serve attendere il prossimo zero-day quando esistono già migliaia di vulnerabilità note “nascoste in bella vista”. Un efficace programma di vulnerability management basato sul rischio chiude questa porta, aiutando le aziende a passare da un approccio reattivo a una mentalità prevention-first e a una difesa proattiva. In definitiva, può rappresentare la differenza tra un incidente minore e una catastrofe da milioni di dollari. 

    A cura di Samuele Zaniboni, Manager of Sales Engineering di ESET Italia 

     

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