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    Digital Transformation: è più importante la tecnologia o il caso d’uso?

    By Redazione LineaEDP04/11/20255 Mins Read
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    Romeo Scaccabarozzi – Amministratore Delegato di Axiante – illustra come una scelta inadeguata dei casi d’uso possa incidere sui risultati e spiega come individuare quelli in grado di generare valore per il business

    IA-intelligenza artificiale-digital transormation
    By VinkFan

    Viviamo un’epoca di straordinaria accelerazione tecnologica. L’intelligenza artificiale prima, quella generativa dopo e ora quella agentica conquistano l’interesse degli utenti e delle imprese, le piattaforme di data management sono in grado di offrire insight sempre più potenti e tempestivi e quelle di gestione della Customer Experience di automatizzare risposte personalizzate anche in tempo reale. Questi sono solo alcuni esempi degli strumenti in grado di supportare le aziende nella ormai sempre più strategica Digital Transformation. Eppure, dietro la luccicante narrazione dell’innovazione, si nasconde una verità scomoda: molti progetti falliscono e non per carenze tecnologiche ma spesso a causa di una scelta inadeguata dei casi d’uso.

    Il miraggio della tecnologia universale

    Uno degli errori più diffusi è l’approccio “Technology-first” che spinge le organizzazioni per esempio a implementare l’AI sulla spinta degli azionisti o un Data Lake perché “tutti ne parlano” oppure una Customer Data Platform perché “i competitor ce l’hanno”. In altre parole è la visione distorta che porta a inseguire le tendenze tecnologiche senza la premessa fondamentale: l’individuazione e comprensione del problema da risolvere.

    Questo approccio – molto più diffuso di quanto si possa pensare – affonda le radici in diverse dinamiche. Innanzitutto, come già evidenziato, l’assenza di obiettivi strategici chiari, quindi anziché chiedersi “Quali problemi frenano le performance?”, “Quale processo dobbiamo rinnovare per raggiungere gli obiettivi”, le imprese si domandano “Come possiamo usare questa tecnologia?”. A ciò si aggiunge la paura di “rimanere indietro” che spinge molti decision maker ad approcciare l’innovazione come sinonimo di cambiamento tout court.

    Anche la pressione degli investitori gioca un ruolo determinante: sempre più spesso infatti chiedono segnali tangibili di innovazione, che si traducono in annunci di implementazione di nuove tecnologie a prescindere dall’impatto reale che queste possono generare. Infine, il marketing di alcuni vendor alimenta narrazioni dalle promesse quasi miracolose che contribuiscono a sostenere una spinta all’adozione di nuove soluzioni che prescindono dalle reali necessità aziendali.

    Questo approccio trasforma l’innovazione in un esercizio di stile, dove la tecnologia diventa il fine anziché il mezzo e si traduce in investimenti significativi ma ritorni spesso deludenti o persino inesistenti. Ne sono un chiaro esempio: progetti pilota che non scalano mai, dashboard che nessuno consulta, modelli di AI agentica che risolvono problemi inesistenti. Non è raro che, sulla spinta dell’approccio “Technology-first”, le aziende investano in soluzioni sofisticate per automatizzare processi marginali, mentre i veri colli di bottiglia organizzativi e operativi rimangono esclusi oppure procedano appoggiandosi a infrastrutture obsolete e dataset poveri in termini sia quantitativi che qualitativi.

    In sintesi, le tecnologie vengono applicate indiscriminatamente, come se avessero il potere di scovare da sole il problema da risolvere e ogni problema aziendale avesse bisogno di una medesima ricetta tecnologica.

    Il conto da pagare

    Questa approssimazione nella selezione dei casi d’uso genera conseguenze concrete: non solo budget sprecati ma anche team demotivati e soprattutto, board deluso e credibilità erosa. Quando un progetto di Digital Transformation fallisce, raramente l’organizzazione capisce e ammette che ha sbagliato a individuarne la destinazione d’uso, più frequentemente sviluppa scetticismo verso quella soluzione. Si crea così un pericoloso circolo vizioso dove l’innovazione diventa sinonimo di rischio anziché di opportunità.

    Con l’avvento e lo sviluppo dell’AI, questo fenomeno è ancora più evidente. Quante aziende hanno investito massicciamente in queste soluzioni — implementando sistemi complessi, costruendo infrastrutture costose, formando team specializzati — senza prima aver definito con chiarezza quali obiettivi strategici dovevano raggiungere con il supporto dell’AI e quali processi dovevano trasformare? Non sorprende quindi che si parli sempre più insistentemente anche di un rischio “bolla speculativa” sull’AI.

    I passi di un’efficace selezione

    Una selezione strategica dei casi d’uso richiede che l’innovazione sia l’abilitatore dell’azione, non il punto di partenza: prima della tecnologia deve venire l’individuazione del problema da risolvere o dell’opportunità da cogliere, e, ancor prima, la strategia.

    In particolare, per individuare quelli più efficaci è necessario seguire un approccio strutturato che tocchi alcuni passaggi fondamentali:

    1. Definire gli obiettivi di business

    Prima di qualsiasi considerazione tecnologica, serve chiarezza sugli obiettivi di business: aumento della produttività? Miglioramento dell’esperienza del cliente? Riduzione dei costi? Accelerazione del time-to-market? Aumento dell’efficienza operativa? Solo dopo è possibile valutare se un caso d’uso contribuisce davvero alla strategia aziendale e stimare (e poi calcolare) in che misura lo fa, individuando metriche e KPI precisi con target misurabili;

    2. Valutare la maturità organizzativa

    Una valutazione rigorosa della maturità organizzativa è fondamentale per evitare fallimenti. Un caso d’uso tecnologicamente avanzato applicato a un’organizzazione non pronta è destinato a non funzionare, tanto quanto la tecnologia applicata al processo sbagliato. Bisogna chiedersi: abbiamo i dati necessari? I processi sono sufficientemente strutturati? Le persone sono preparate e pronte al cambiamento? L’infrastruttura può supportare l’innovazione?

    3. Analizzare pro e contro

    È necessario valutare anche l’impatto potenziale rispetto alla complessità di implementazione. In questa prospettiva, i casi d’uso ideali non sono necessariamente quelli più ambiziosi, bensì quelli incrementali, perché generano il miglior rapporto tra valore creato e risorse ed energie investite. Questo approccio pragmatico consente di ottenere risultati tangibili in tempi ragionevoli, costruendo gradualmente le competenze e la fiducia dell’organizzazione nell’innovazione;

    4. Considerare il contesto

    Ciò che funziona eccellentemente in un’azienda manifatturiera potrebbe non essere prioritario per l’azienda competitor e ancor meno per un retailer, e viceversa. Ogni realtà ha le proprie peculiarità, sfide e opportunità che devono guidare la selezione dei casi d’uso più appropriati.

    Solo quando questi elementi sono allineati, la tecnologia può esprimere il suo reale potenziale trasformativo, altrimenti rimane uno strumento potente usato nel modo sbagliato, a conferma che la Digital Transformation non è una corsa all’ultima innovazione, ma un processo strategico di allineamento tra necessità di business e capacità tecnologiche.

    A cura di Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante

    Axiante
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