Il 2025 è stato l’anno della consapevolezza, nel quale il settore manufacturing e logistico ha iniziato a distinguere tra le mode passeggere e gli investimenti strutturali necessari. La digitalizzazione ha smesso di essere un vantaggio competitivo per diventare un prerequisito di sopravvivenza, preparando il terreno per il vero salto di qualità che ci attende nel prossimo futuro.
Guardando al 2026 e agli anni successivi, non possiamo fare a meno di notare che tutto ruota attorno a un singolo attore che in questo momento storico è sulla bocca di tutti. Il riferimento è, ovviamente, all’Intelligenza Artificiale e al suo potenziale di sviluppo, che ci impegnerà a fondo nei prossimi anni. Tuttavia, sarebbe riduttivo parlarne solo come una novità tecnica. Il settore del manufacturing e della logistica, già interessato dall’avvento dell’AI, sta per vivere una trasformazione ancora più profonda, per certi aspetti radicale, grazie a un mix di spinte che sono di natura tecnologica, economica e strutturale.
I pilastri del cambiamento
Le aziende manifatturiere e logistiche hanno oggi l’opportunità di fare decisi passi avanti sul percorso della Trasformazione Digitale, agendo su quattro fronti fondamentali:
- Dal modello reattivo al modello proattivo e predittivo: grazie ai dati e all’AI, non si interviene più solo quando sorge un problema. È già possibile intervenire in anticipo su manutenzione, approvvigionamenti, flussi logistici e pianificazione.
- Aumento della flessibilità produttiva: la robotica e l’automazione di ultima generazione, resa più intelligente dai nuovi software, permettono di riconfigurare le linee più rapidamente. Questo consente di adattarsi agilmente ai cambiamenti nella domanda o nella tipologia di prodotto.
- Sostenibilità e reputazione: si sta rafforzando l’attenzione a una responsabilità di sistema lungo tutta la filiera (automotive, pharma, food, fashion). Con supply-chain più trasparenti e tracciabili, le imprese migliorano l’impatto ambientale e riducono gli sprechi energetici. Questo è cruciale per recuperare stima nei confronti della marca, in un momento in cui i consumatori – soprattutto i più giovani – sembrano allontanarsi dai grandi marchi “costosi” a beneficio di brand emergenti meglio percepiti.
- Cambiamento culturale e formativo: assistiamo a un forte impulso verso nuovi modelli di competenze e formazione. Il lavoro manuale ripetitivo viene sempre più delegato alle macchine, mentre emergono e si consolidano figure professionali che operano nel monitoraggio, nella manutenzione, nell’analisi dei dati e nella gestione dei sistemi digitali.
Oggi il dato digitale è già il vero petrolio, la risorsa più rilevante nel nuovo perimetro produttivo. La raccolta e l’integrazione dei dati resteranno l’obiettivo principale nel prossimo futuro; saremo sempre più concentrati a farlo bene, perché da ciò dipendono le decisioni strategiche e tattiche dei manager, tanto nelle Grandi Aziende quanto nelle PMI.
Lo stato dell’arte: il divario tra multinazionali e PMI
Se guardiamo a che punto siamo con l’integrazione tra trasformazione digitale e industria, è doveroso fare una distinzione. Le aziende multinazionali o medio-grandi, grazie alla pianificazione e alla disponibilità finanziaria, sono pronte ad affrontare le sfide future. Diversa è la situazione per le PMI: spesso concentrate sui risultati nel breve periodo, avranno bisogno di tempi più lunghi per vedere i benefici della trasformazione digitale. In generale, notiamo nelle PMI una certa mancanza di visione a lungo termine; spesso si prendono decisioni per sopperire a mancanze specifiche del momento invece di affrontare il problema in modo sistemico.
Ci sono ragioni strutturali che frenano questo passaggio e che vanno affrontate. Prima di tutto è necessario affrontare il tema culturale e della governance: serve una leadership convinta, che investa non solo in tecnologia ma in formazione e rivisitazione dei processi, inserendo il tutto in una visione strategica unificata.
Non basta poi acquistare macchinari. L’importanza del capitale umano è strategica: la carenza di competenze è forse la zavorra più pesante che frena la trasformazione. Inoltre, è cruciale anche la qualità del dato, senza dati “puliti”, strutturati e accessibili, le tecnologie avanzate non possono funzionare, mettendo a rischio l’investimento
Infine è necessario valutare il rischio percepito: molte aziende temono la discontinuità operativa e si bloccano. Tuttavia, con l’apporto dell’AI e dei Digital Twin, questo timore si svuota di significato.
Il vademecum degli investimenti
Pur con la crescita tangibile di investimenti nel software, non sempre si registra un valore reale. La tecnologia, da sola, non porta lontano: è l’impiego che se ne fa a determinare la direzione. Per chi vuole migliorare l’integrazione delle nuove tecnologie ci sono alcuni punti essenziali su cui non si può scendere a compromessi:
- Stabilire strategie efficaci: bisogna partire dai processi e non dalla tecnologia. Ancora troppe aziende acquistano software senza una reale progettazione del cambiamento.
- Investire sulle competenze (upskilling e reskilling): le tecnologie di nuova generazione (ERP evoluti, MES, IIoT, AI, Robotica collaborativa) richiedono competenze specifiche, non generiche.
- Governance del dato: se i dati non sono affidabili e unificati, strumenti come la manutenzione predittiva o gli analytics non possono performare.
- Integrazione IT-OT: servono architetture aperte, scalabili e modulari basate su API, evitando personalizzazioni estreme che creano “silos informativi” e ostacolano la visione unica.
- Partner strategici: è fondamentale affiancarsi a esperti di integrazione di sistemi che comprendano i processi industriali, evitando fornitori troppo tecnici e poco progettuali.
In fin dei conti, occorre colmare un gap culturale, darsi delle strategie efficaci, investire su competenze e formazione, integrare le tecnologie e affiancarsi degli esperti in questo percorso.
Sotto il profilo tecnologico, il ruolo più importante e strategico lo ha proprio il software che è l’abilitatore centrale e svolge diverse funzioni, dall’orchestrazione e integrazione dei dati, al data management e data governance, all’architettura per l’AI. Attraverso piattaforme digitali connesse ai sistemi IT e alle tecnologie, il software consente di arrivare all’obiettivo principale che è l’ottimizzazione e il miglioramento dei processi aziendali.
Solo partendo dal software possiamo raccogliere i dati sul campo a bordo macchina, elaborarli e qualificarli per alimentare le applicazioni AI.
Il fattore umano: i nuovi ruoli e lo skill gap
Il successo di questi progetti dipende dalle persone. Nel mercato del manufacturing e della logistica riscontriamo la necessità di competenze specifiche per quattro livelli decisionali. Il primo è il management, che deve guidare il percorso, prendere decisioni basate su insight e gestire il cambiamento; seguono i team operativi, che devono collaborare con strumenti digitali e AI per migliorare produttività ed efficienza, abbandonando il lavoro manuale ripetitivo. Il team IT ha il compito di garantire scalabilità, sicurezza e supportare l’implementazione di soluzioni AI, mentre il team Data si deve occupare di generare modelli affidabili per supportare business e operation.
Lavorando con aziende medio-grandi, vediamo un buon grado di interazione tra questi team, il che agevola il rispetto dei piani. Nelle realtà più piccole, dove manca pianificazione, le difficoltà aumentano.
L’AI per “riumanizzare” il lavoro
Come percepiamo l’approccio delle aziende all’AI oggi? C’è ancora un po’ di confusione. Tutti ne parlano, ma quando si tratta di sfruttarla, il piano d’azione spesso si riduce ai minimi termini. Dal nostro punto di vista è vitale concentrarsi su processi ben definiti e circoscritti, non su obiettivi generici.
Certamente, l’80% delle aziende che entrano per la prima volta nell’AI lo fa per questioni di maggiore efficienza. Non hanno ancora visibilità piena su cosa aspettarsi. Tuttavia, le aziende più avanzate – quelle che hanno avuto tempo e modo di sperimentare – stanno utilizzando l’AI per qualcosa di più grande: ridefinire il rapporto uomo-macchina. Vedono l’AI non solo come un tool per aumentare i margini, ma come un’opportunità per riumanizzare il lavoro, destinando alle macchine le attività ripetitive e a scarso valore, e restituendo all’uomo ciò che è veramente value-driven.
A cura di Marco Marella, Generale Manager e Matteo Scola, Operations Manager, FasThink


