Negli ultimi dodici mesi, l’intelligenza artificiale generativa è passata dall’essere una promessa futuribile a una leva concreta di trasformazione. E nessun ambito lo sta sperimentando con la stessa rapidità del servizio clienti. Mentre milioni di persone ogni giorno interagiscono – spesso inconsapevolmente – con assistenti AI, le aziende si interrogano su come sfruttare al meglio questa rivoluzione per migliorare le performance, preservare l’elemento umano e garantire esperienze di valore. Eppure, attorno alla GenAI aleggia ancora una nube di percezioni distorte e timori occupazionali. La polarizzazione del dibattito rischia di offuscare le scelte strategiche, frenando investimenti e rallentando il cambiamento proprio dove potrebbe generare il maggiore impatto.
Per fare chiarezza, Boston Consulting Group (BCG) e Konecta, azienda internazionale specializzata in soluzioni di customer experience e servizi di BPO, hanno pubblicato lo studio “Cutting through the noise: Early lessons from deploying GenAI to transform customer experience”, basato su casi reali e su una survey condotta tra oltre 400 operatori Konecta. L’obiettivo? Sfatare cinque falsi miti sull’adozione dell’intelligenza artificiale generativa nella customer experience, fornendo dati ed evidenze per guidare una transizione consapevole e sostenibile.
«La GenAI non crea valore da sola, lo fa quando viene integrata nel lavoro quotidiano degli agenti per aiutarli a essere più efficaci, veloci e motivati» afferma Luca Gatti, Director e Partner di BCG. «I casi studio lo dimostrano: non solo si è riscontrato un aumento della produttività tra il 15 e il 30% e un incremento del 40% nella conversione, ma anche un netto miglioramento dell’esperienza per chi lavora nel customer center. Funzionalità come trascrizioni in tempo reale, suggerimenti intelligenti e automazione dei compiti più ripetitivi, liberano tempo e attenzione per ciò che conta davvero: ascoltare meglio i clienti, rispondere più velocemente e creare relazioni più umane. Il risultato? Clienti e team più soddisfatti. Tutto questo accade solo se la tecnologia è accompagnata da formazione, coaching e un cambiamento concreto nei processi. Per un CEO, la vera domanda non è se adottare la GenAI, ma come usarla per trasformare davvero il customer service, per portarlo da centro di costi a leva di valore e engagement».
Cinque falsi miti sull’adozione della GenAI nella customer experience
- La GenAI serve solo ad abbattere i costi
Le prime applicazioni hanno evidenziato un aumento della produttività fino al 30% e una riduzione del 16% nei tempi medi di gestione delle richieste di assistenza. Inoltre, il caso di una compagnia assicurativa europea ha registrato un incremento del 40% nel tasso di conversione in appena sei settimane, grazie all’adozione combinata di AI, formazione e supervisione umana. Tuttavia, l’impatto della GenAI non si misura solo in termini di efficienza e rendimento: se introdotta con strumenti ben progettati e accompagnata da percorsi di formazione mirata, può contribuire a migliorare sensibilmente sia la qualità delle interazioni con i clienti, sia il modo di lavorare degli operatori.
- Con la GenAI i lavoratori si sentono meno utili
Uno dei timori più diffusi legati alla GenAI è che la sua introduzione nei processi operativi possa rendere marginale il valore del contributo umano. Tuttavia, secondo lo studio, accade l’opposto: se integrata correttamente, l’AI generativa può migliorare in modo significativo l’esperienza lavorativa. Già nelle prime implementazioni effettive della GenAI all’interno dei contact center, oltre il 70% degli operatori ha espresso entusiasmo, apprezzando il vantaggio di poter dedicare più tempo ad attività complesse e meno ripetitive. Inoltre, il 95% ha trovato utili le funzionalità di trascrizione automatica, mentre l’82% ha valutato positivamente i percorsi di formazione personalizzata.
- La GenAI non offre una customer experience coinvolgente
È opinione diffusa che molti clienti non gradiscano interagire con i sistemi automatizzati, spesso per via di esperienze deludenti con chatbot o sistemi di risposta vocale interattiva (IVR) poco efficaci. Tuttavia, secondo BCG e Konecta, non è l’intelligenza artificiale in sé a generare frustrazione, ma la qualità del servizio offerto. Se ben progettata e dotata della possibilità di rivolgersi a un operatore umano, la GenAI può garantire un’esperienza pari o addirittura superiore a quella dei modelli tradizionali. I dati lo confermano: in alcuni casi, i punteggi di soddisfazione sono aumentati fino all’85%. Una crescita significativa, che mostra come la tecnologia, se inserita in un sistema pensato per valorizzare l’interazione, possa migliorare non solo l’efficienza, ma anche la qualità percepita del servizio.
- Il successo della GenAI dipende solo dall’algoritmo
Uno degli errori più comuni è credere che sia sufficiente scegliere il modello giusto per ottenere risultati immediati. In realtà, l’efficacia operativa dell’integrazione della GenAI dipende in gran parte da fattori organizzativi: processi, team, capacità di integrazione. Perché l’adozione funzioni davvero, serve un ecosistema tecnico completo, che includa infrastruttura cloud, governance dei dati e, soprattutto, una trasformazione profonda dei modelli operativi. Senza una revisione delle metriche, dei ruoli e dei flussi decisionali, anche le soluzioni più evolute rischiano di rimanere confinate a progetti pilota, senza generare impatto reale.
- La GenAI sostituirà gli operatori umani
In alcuni contesti, l’adozione della GenAI ha alimentato il timore che gli strumenti automatizzati possano progressivamente sostituire il lavoro umano. Una preoccupazione particolarmente diffusa nel settore della customer experience, dove l’automazione è spesso percepita come una leva per abbattere i costi, anche a scapito della qualità della relazione con il cliente. Lo studio dimostra il contrario: i casi di maggiore successo mostrano che AI e contributo umano non sono in opposizione, ma si integrano. I sistemi GenAI sono particolarmente efficaci nella gestione di attività ripetitive, mentre gli operatori rimangono essenziali per la gestione di situazioni complesse, emotive e relazionali. In questo nuovo equilibrio, il ruolo umano non scompare: evolve. Cambiano le competenze, si ridefiniscono le responsabilità, ma resta centrale la capacità delle persone di creare relazioni autentiche.